martedì 21 dicembre 2010

MANDI ENZO

setembar 1927/dicembar 21010
mandi enzo

Lei il ricuart di Maurizio Mattiuzza:
Ci sono uomini che narrano se stessi coi silenzi, gli sguardi, che parlano coi gesti e le rinunce.
Che hanno idee da difendere e quindi sembrano testardi,mentre invece sono soprattutto onesti e proprio per questo anche un po’ tormentati dalla solitudine di chi crede ancora al valore di una stretta di mano. Enzo Bearzot a vederlo, ad ascoltarlo, era un uomo così e tutto attorno a lui mi sapeva di erba e sassi di fiume, come a toccare il prato ghiaioso di certi nostri vecchi campi da calcio. Pietre e argille che hanno cresciuto gente e facce come la sua, capaci di tenere testa al mondo e diventare campioni. Di football, certo, e anche di saggezza e misura, come a dirci che il premio della vittoria non è il dominio, ma la soddisfazione d’aver fatto bene quello che la vita ti chiama a fare. Una lezione che vale per il calcio e pure per il mondo, perché lo sport è proprio questo che dovrebbe essere. Ottimo mediano nel Torino e nell’Inter, ma poi e soprattutto tecnico mundial della più bella nazionale di calcio che l’Italia abbia mai avuto, figura mitica eppure sempre pacata, Bearzot è stato, oltre che un grande uomo di calcio che appartiene all’Italia intera e allo sport mondiale, anche filo intimo nella tessitura della nostra anima friulana. La sua pipa, la sua giacca, la tattica che usciva dalla panchina rimbalzando lungo il campo come un monito, a noi friulani sono suonate sempre familiari come la voce di uno zio un po’ burbero ma capace di insegnarti il dribbling con l’esempio. Perché non basta dire, bisogna fare e lui faceva. Faceva e vinceva, silenzioso come un filosofo e tenace come un carpentiere, quasi a parlare una vulgata di fatica e lavoro che noi, gente delle sue parti, volevamo immaginare capace di arrivarci nel cuore con un attimo di anticipo rispetto alla telecronaca, cercando nei suoi labiali e in quelli di Dino Zoff il suono millenario della nostra lingua.
Cjale, al à dite che al cambie Antognoni, tu viodarâs che cumò al met drenti Graziani…
Forse nessuno di noi avrebbe indovinato davvero un cambio dei suoi, che il genio calcistico di Bearzot certo non era alla portata di tutti, ma nulla ci toglierà mai quell’illusione magica d’essergli stati amici nel dubbio delle scelte che si è fusa assieme alla nostra gioventù e ai tuffi nelle fontane la notte in cui diventammo campioni del mondo in Spagna. La gioia serena e sfrenata di quella vittoria senza nemici è una delle radici più profonde della sua grande eredità sportiva ed umana, una sensazione impagabile eppure ormai smarrita nei dedali del calcio coi nervi a pezzi che ci tocca di vedere oggi. Zico che mostra la maglia strappata dai nostri difensori schierati a mordergli il respiro, la coppa del mondo alzata in un urlo composto ma capace di bruciare la notte caliente di Madrid, la partita a scopa con il presidente Pertini sono capolavori degni di un maestro del Rinascimento. E forse Bearzot, oltre che un grandissimo Ct è proprio questo che è stato: Un artista, un pittore. L’ultimo grande affresco dell’Italia postbellica porta la sua firma silenziosa. Quel mondiale, quei campioni cresciuti alla sua scuola sono la più bella immagine con sorriso in cui questo paese sia riuscito a ritrovarsi negli ultimi sessantacinque anni e davvero non c’è oro al mondo che valga più di un popolo felice che si stringe attorno alle gesta di un uomo capace e per bene come è stato lui. Mandi Enzo, ti sia lieve la terra. Tu nus mancjarâs.

Nessun commento: